Nominato direttore, nel 2001, dall’allora vescovo di Rimini mons. Mariano De Nicolò, nel 2008, don Renzo Gradara, è stato riconfermato alla guida della Caritas diocesana, da mons. Francesco Lambiasi.
Quali cambiamenti ci sono stati alla Caritas in questi anni?
“Quando sono stato chiamato alla Caritas, nel settembre 2001, era stato appena completato il trasloco da via Santa Chiara. La sede, unica per tutti i servizi, facilita l’organizzazione e permette una gestione più efficace. Ci siamo divisi in venti settori operativi con dei responsabili che coordinano i volontari del servizio e garantiscono un collegamento con tutti gli altri settori. Ma ben presto ci siamo accorti che la nuova sede era già piccola per il continuo aumento degli ospiti, soprattutto stranieri, e per la mancanza di alcuni ambienti indispensabili per le nuove attività che andavamo progettando. Abbiamo, per questo, pensato ai nuovi locali, che sono stati inaugurati nel novembre del 2006”.
Quali le caratteristiche della nuova struttura?
“Quattro piani che quasi raddoppiano la sede precedente appena ristrutturata, con un salone per gli incontri formativi e ricreativi, un’aula didattica per accogliere le scuole, due piani di camere per fare anche la seconda accoglienza, più prolungata per ospiti con i quali predisporre progetti che li accompagnano verso l’autonomia.
Tutto questo è stato possibile e si riesce a portarlo avanti grazie alla professionalità dei responsabili e degli operatori e la generosità e l’impegno dei 150 volontari”.
Quali difficoltà hai riscontrato?
“A livello organizzativo la difficoltà più grande è quella di riuscire a far crescere la collaborazione e la comunione fra tutti coloro che lavorano in Caritas, anche perché ogni giorno, nei vari servizi, sono presenti non meno di una quarantina di persone fra operatori e volontari.
A livello personale, invece, ciò che crea maggiore difficoltà è l’impotenza di fronte a situazioni anche drammatiche, specialmente quando sono coinvolte famiglie con bambini”.
Educare alla carità è il compito prioritario della Caritas… Cosa è stato fatto su questo fronte?
“Non si può dare quello che non si ha e non si può fare Caritas se non si vive la Carità. Per questo è necessario impegnarsi per la formazione dei volontari perché vivano il loro servizio come esigenza d’amore.
Durante l’anno proponiamo momenti formativi comuni per la crescita delle motivazioni interiori che devono sostenere il lavoro dei volontari ed anche incontri per settori per la formazione professionale.
Un percorso parallelo lo tracciamo anche per i volontari e gli operatori pastorali delle Caritas parrocchiali perché esse siano sempre più, nelle loro parrocchie, strumento di educazione alla carità per tutta la comunità.
Attualmente ci sono una sessantina di Caritas parrocchiali e una dozzina di Caritas interparrocchiali”.
Quale rapporto con gli immigrati?
“La pastorale con gli immigrati è uno dei settori nel quale si è lavorato di più in questi anni. Questa si lascia guidare da due obiettivi: invitare le famiglie ad inserirsi nella vita della propria parrocchia e, contemporaneamente, offrire occasioni per celebrare le principali feste religiose per gruppi etnici, con lo scopo di non far perdere le proprie radici. Attualmente proponiamo celebrazioni mensili in lingua per latino-americani, filippini, albanesi.
Per la comunità ucraina c’è la Messa in rito greco-cattolico a domeniche alterne e per la comunità rumena c’è addirittura un sacerdote greco-cattolico residente. I bambini Rom bosniaci sono seguiti da molto tempo e diversi di loro sono stati battezzati.
Gli immigrati sono anche coinvolti nei molteplici progetti di solidarietà internazionale che la Caritas segue soprattutto nei loro paesi di provenienza facendoli diventare percorsi di educazione alla solidarietà”.
Letizia Rossi