Italia in Miniatura, uno dei primi parchi tematici del nostro Paese, soffia 50 candeline. Una storia nata da un’intuizione, che ha attraversato mezzo secolo di Riviera romagnola, e non solo. Ce la racconta Paolo Rambaldi, figlio dello storico fondatore Ivo e patron del parco fino al 2014
Esattamente 50 anni fa, il nostro Stivale veniva… rimpicciolito. Era l’estate del 1970, infatti, quando a Viserba, in un’area di circa 20mila metri quadrati, vedeva la luce Italia in Miniatura. Da quel momento in avanti, semplicemente acquistando un biglietto, ci si trovava davanti a qualcosa che non aveva precedenti (almeno in Italia): un intero parco in cui ammirare una cinquantina di miniature (oggi più di 200) in poliuretano che rappresentavano alcuni dei principali monumenti del nostro Paese. In sostanza, si poteva visitare l’Italia intera nel tempo di una passeggiata.
Una storia che attraversa mezzo secolo, partendo da un’epoca in cui il termine “parco tematico” nemmeno esisteva nel vocabolario, per arrivare ai giorni nostri e a 30 milioni di visitatori complessivi, tra anni d’oro, apparizioni in tv e successi, ma anche difficoltà, concorrenza, crisi. In occasione di un traguardo così importante, Paolo Rambaldi (nella foto), figlio dello storico fondatore Ivo Rambaldi e patron del parco fino al 2014 (anno della cessione al gruppo Costa Parchi Edutainment, proprietaria di tanti altri parchi della Riviera romagnola) racconta la storia di questo ultimo cinquantennio… in miniatura.
Mezzo secolo di Italia in Miniatura. Com’è nata l’idea di un progetto di questo tipo?
“Da un’intuizione di mio padre, Ivo Rambaldi, avuta nel 1968 in seguito a una visita casuale alla Swissminiatur, la ‘Svizzera in miniatura’ presente a Melide, vicino a Lugano. Ne fu subito colpito: fece un filmato del parco con una piccola cinepresa che aveva con sé, e una volta tornato a casa cominciò subito a riflettere sulla volontà di realizzare la stessa cosa in Italia. Se funziona in Svizzera, diceva, funzionerà ancora di più in Italia, vista l’enorme quantità di bellezze presenti nel nostro Paese”.
E così si mise in moto.
“Parlò dell’idea in famiglia, e andò a rivolgersi a mio zio che aveva l’hobby di realizzare modellini di navi in bottiglia. Da lì partirono i primi esperimenti: mio padre, mio zio ed io, in un semplice garage, cominciammo a realizzare i primi modellini, concentrandoci, per comodità viste le nostre origini, sui monumenti di Ravenna: la tomba di Dante, il Capanno Garibaldi, proseguendo man mano verso monumenti più grandi e complessi”.
Come si è passati dalla realizzazione di miniature in garage all’apertura di un vero e proprio parco divertimenti?
“Dopo aver scelto Rimini, per ovvie ragioni turistiche, mio padre acquistò un terreno di 20.000 mq a Viserba, dove sarebbe sorto il parco. Abbiamo fatto migliaia di fotografie, in giro per l’Italia, di tanti monumenti, e gradualmente il gruppo è aumentato, arrivando a 20 persone. E così, era tutto pronto: abbiamo inaugurato il 4 luglio del 1970, con 49 miniature”.
Siete stati pionieri per quanto riguarda i parchi divertimenti, un concetto quasi sconosciuto in Italia (ne esistevano solo tre in tutto il Paese, e il termine ‘parco tematico’ nemmeno esisteva). Come andarono i primi anni di apertura?
“Mio padre aveva investito praticamente tutto in questo progetto, tutto quello che aveva racimolato nella sua carriera da imprenditore idraulico. All’inizio, dunque, non era facile: riuscivamo a vendere tra i 4 e gli 8 biglietti al giorno, eravamo ancora lontani dai numeri che poi hanno rappresentato gli anni d’oro di Italia in Miniatura. Ma la svolta era vicina”.
Quando avvenne e cosa successe?
“Nell’agosto del 1970 venne al parco un giornalista del settimanale nazionale Epoca, che a nostra insaputa fece delle foto e realizzò un ampio articolo dedicato a Italia in Miniatura. Fu il vero momento di svolta: in poco tempo passammo dalla decina di visitatori a circa 800-1000 al giorno. Da lì cominciò il nostro grande successo, che ci portò a migliorare sempre di più.
Guadagnavamo e investivamo tutto sul miglioramento, l’arricchimento e l’ingrandimento del parco (che oggi copre un’area di 85mila mq): basti pensare che oggi sono circa 270 le miniature che è possibile ammirare. E poi, dopo questo primo impulso, arrivò un altro grande punto di svolta”.
Di che si tratta?
“Nel 1978 Raffaella Carrà venne a Italia in Miniatura per realizzare la sigla di Ma che sera, cantando la famosa ‘Tanti auguri’. A quel tempo era la trasmissione principale del sabato sera, che faceva registrare un’audience enorme: inutile dire, dunque, che salto in avanti ci permise di fare tutto questo. Per dirla in numeri, l’anno successivo passammo a 200mila visitatori, fino ad arrivare a 750mila tra il 1987 e il 1988. In sostanza, gli anni d’oro del parco vanno dalla fine degli anni ’70 al 1989”.
Perché poi cosa successe?
“Il problema della mucillagine cominciò a colpire il turismo romagnolo, facendo diminuire anche i nostri numeri, ma non solo.
Nel territorio cominciavano a nascere altri parchi tematici: alla fine degli anni ’80 aveva già aperto Aquafan e pochi anni dopo sarebbe stato inaugurato Mirabilandia, senza contare il resto d’Italia. Nonostante ci fosse, in quegli anni, una situazione economica migliore, era comunque difficile che le famiglie potessero permettersi di andare a visitare tutti i parchi tematici esistenti, quindi la situazione cominciò ad essere più difficile. Inoltre, negli anni ’90, dopo aver ottenuto dal Consiglio comunale la possibilità di ampliare l’area del parco, ci siamo trovati con la delibera bloccata a causa di un piano paesaggistico che tutelava i terreni vicini a Italia in Miniatura. Ancora non abbiamo capito cosa abbiano trovato di così eclatante in quei terreni dal punto di vista della tutela paesaggistica…”.
Salto in avanti fino al nuovo millennio. Nel 2014 arriva la cessione del parco al gruppo Costa Parchi Edutainment, proprietario anche di altri parchi divertimenti della Riviera romagnola. Ci racconta l’ultimo periodo della sua gestione?
“Ci sono stati diversi elementi che hanno portato a questa situazione. Il primo è sicuramente la crisi del 2008, che ha influito sull’economia in generale. Ci siamo trovati, poi, in difficoltà qualche anno dopo con il terremoto in Emilia e, nello stesso periodo, cominciava a cambiare qualcosa nel settore: Mirabilandia era passata a un grande fondo inglese, del valore di diversi miliardi di sterline, che aveva già acquisito 350 parchi in tutti gli Stati Uniti, mentre altri parchi del territorio come Aquafan, Acquario di Cattolica e Oltremare erano passati al gruppo Costa, che ha altri 12 impianti in tutta Italia. Ci siamo trovati, in sostanza, tra due colossi, e noi che eravamo un unico parco, gestito da una famiglia, non abbiamo potuto far altro che lasciar perdere, per non farci divorare dalla concorrenza”.
Tanti i momenti di successo. C’è però qualche dettaglio, o un momento specifico, che ricorda con particolare gioia?
“Difficile rispondere, perché fortunatamente sono stati molti. Però c’è una cosa che mi piace ricordare in particolare: quando lavoravo nel parco lasciavo la finestra dell’ufficio aperta e sentivo, continuamente, la voce e le grida di felicità dei bambini dei visitatori. Questo mi dava una carica ad andare avanti che nient’altro riusciva a darmi, era la benzina del mio lavoro. Ed è bello pensare che molti di quei bambini fossero stati portati lì da altri exbambini di cui, in passato, avevo sentito le stesse grida di gioia”.