È morta Maria Negretto, missionaria a Duala, in Camerun. Versava da tempo in difficili condizioni di salute, sarebbe tornata in Italia per alcune cure ma non ce l’ha fatta. E’ tornata al padre all’età di 83 anni. Il funerale e la tumulazione avverranno in Camerun, quella che per lei da decenni ormai era la sua “terra”.
Originaria di San Biagio di Argenta in provincia di Ferrara, dov’era nata il 5 marzo 1938, ha vissuto oltre 40 anni vive in Africa dedicando la propria vita ai poveri e agli ammalati: “Dentro di me sentivo una forza che mi spingeva verso i più deboli, quelli ai margini, grazie anche all’insegnamento della mia famiglia e di mia madre che, anche in tempi di difficoltà e povertà, era sempre disponibile ad aiutare un bisognoso quando si presentava alla porta di casa”.
Originaria di San Biagio di Argenta in provincia di Ferrara, dov’era nata il 5 marzo 1938, ha vissuto oltre 40 anni vive in Africa dedicando la propria vita ai poveri e agli ammalati: “Dentro di me sentivo una forza che mi spingeva verso i più deboli, quelli ai margini, grazie anche all’insegnamento della mia famiglia e di mia madre che, anche in tempi di difficoltà e povertà, era sempre disponibile ad aiutare un bisognoso quando si presentava alla porta di casa”.
Dopo essersi diplomata infermiera e aver lavorato nel reparto di Pediatria dell’ospedale di Rimini, di cui diventa una “figlia” adottiva, decide, nel 1969, ancora giovanissima, di partire per il Cameroun; vuole aiutare la gente del luogo a contrastare le varie forme di povertà, in particolare l’ignoranza in campo sanitario: “Lavoravo all’Ospedale di Rimini quando mi è capitato tra le mani un bollettino a cura di un’associazione di volontari che operava in Africa; li ho contattati e in pochi giorni mi sono unita a loro. Insieme ad una decina di neo volontari sono stata 9 mesi in Francia con lo scopo di apprendere la lingua francese, lavorando in una clinica per la lotta ai tumori. Terminato questo periodo sono volata in Cameroun, con l’intenzione di stare un paio di anni: non l’ho più lasciato”.
E l’ha affrontato con tenacia e determinazione, anche le situazioni più dure. Con la stessa capacità mostrata da piccola, quando la chiamavano ’mulo’, quando il padre ad esempio chiamava proprio lei all’alba per i lavori pesanti, lasciando i dieci fratelli a letto perché “dormivano così bene”: “Anche oggi le mie giornate sono lunghe: mi sveglio alle 4 e mi capita di lavorare per 16 ore al giorno”. Ora la chiamano “ma soeur”, anche se è la mamma di tutti che lei chiama proprio i miei figli.
Arrivata a Dschang, a sessanta km da Bafoussam, insieme ad altre quattro ragazze, si vide affidare bambini in tenera età, le cui madri erano morte durante il parto, cercando nel contempo di insegnare ad un membro della famiglia come allevare e curare un bambino: “Noi volontarie lavoriamo per scomparire; finché esiste una sola persona al mondo che non sa camminare con le proprie gambe, è indispensabile che qualcuno la aiuti e la metta in grado di farlo. Lo scopo principale del volontariato non è quello di prestare assistenza, ma di educare all’autosufficienza. Noi, ad esempio, cerchiamo il più possibile di preparare personale specializzato in loco, perché in un prossimo futuro possa sostituirci”.
La sua missione diventa la vicinanza ai malati, agli infermi, ai più deboli, ai bisognosi aiutandoli a superare le proprie condizioni di sofferenza materiale e spirituale: “Tra le cose che sto ideando e organizzando c’è un centro per l’accoglienza dei malati cronici e per le cure palliative ai malati terminali: qui per loro non c’è nessuna speranza. Si tratta di stare accanto a spastici, deformi, “mostri” che restano comunque persone, di non abbandonarli e lasciarli soli come esseri ripugnanti, ma accompagnarli fino al momento ultimo donando loro la dignità di un essere umano. La vita è un dono eccezionale, bisogna accettarsi e accettare ciò che ci succede”.
A Bafoussam, in Cameroun, il progetto di assistenza ai giovani detenuti ereditato da Maria Negretto è stato “ereditato” dagli operatori della Papa Giovanni XXIII. I suoi progetti sono stati sostenuti per anni dal Campo Lavoro Missionario di Rimini. (p.g.)
Arrivata a Dschang, a sessanta km da Bafoussam, insieme ad altre quattro ragazze, si vide affidare bambini in tenera età, le cui madri erano morte durante il parto, cercando nel contempo di insegnare ad un membro della famiglia come allevare e curare un bambino: “Noi volontarie lavoriamo per scomparire; finché esiste una sola persona al mondo che non sa camminare con le proprie gambe, è indispensabile che qualcuno la aiuti e la metta in grado di farlo. Lo scopo principale del volontariato non è quello di prestare assistenza, ma di educare all’autosufficienza. Noi, ad esempio, cerchiamo il più possibile di preparare personale specializzato in loco, perché in un prossimo futuro possa sostituirci”.
La sua missione diventa la vicinanza ai malati, agli infermi, ai più deboli, ai bisognosi aiutandoli a superare le proprie condizioni di sofferenza materiale e spirituale: “Tra le cose che sto ideando e organizzando c’è un centro per l’accoglienza dei malati cronici e per le cure palliative ai malati terminali: qui per loro non c’è nessuna speranza. Si tratta di stare accanto a spastici, deformi, “mostri” che restano comunque persone, di non abbandonarli e lasciarli soli come esseri ripugnanti, ma accompagnarli fino al momento ultimo donando loro la dignità di un essere umano. La vita è un dono eccezionale, bisogna accettarsi e accettare ciò che ci succede”.
A Bafoussam, in Cameroun, il progetto di assistenza ai giovani detenuti ereditato da Maria Negretto è stato “ereditato” dagli operatori della Papa Giovanni XXIII. I suoi progetti sono stati sostenuti per anni dal Campo Lavoro Missionario di Rimini. (p.g.)