Una luce in fondo al tunnel.
Anzi, tre. Luci vere, concrete, scientifiche, non basate sulle false speranze delle sparate politichesi o delle pseudo-opinioni che inquinano i social network. È dalle prime fasi della pandemia, infatti, che si è gradualmente diffusa la consapevolezza che la vera normalità arriverà solo quando ci sarà un vaccino efficace (e commercializzato e distribuito in massa) contro il Covid-19. E ora, all’orizzonte, sono ben tre i vaccini anti-Covid che hanno concluso con successo le fasi delle sperimentazioni e sono in attesa delle autorizzazioni delle agenzie del farmaco internazionali per poter essere distribuiti (autorizzazioni che, verosimilmente, dovrebbero arrivare tra dicembre e gennaio).
Sono i vaccini dell’azienda statunitense Moderna (che ha dimostrato un’efficacia che va oltre il 94%), di Pfizer e BioNTech,
rispettivamente americana e tedesca (efficace al 95% e cominciato a essere distribuito nel Regno Unito proprio in questi giorni, grazie al via libera dell’agenzia britannica del farmaco MHRA) e, infine, quello realizzato dalla collaborazione tra la svedese e britannica AstraZeneca, l’italiana Irbm di Pomezia e l’Università di Oxford (con un’efficacia che arriva fino al 90%).
Attenzione, però: queste luci, come detto, sono in fondo al tunnel, ma il tunnel è ancora lungo. Tanta, ancora, la strada da fare. Ma è la strada giusta. Tornando ai vaccini, l’ultimo citato assume un’importanza particolare: non solo per la quota italiana rappresentata dall’azienda di Pomezia, ma anche perché tra le forze impegnate dall’Università di Oxford ce n’è anche una che parla riminese. È quella del dottor Giacomo Gorini (nella foto), 31 anni, giovane immunologo che da Rimini è arrivato in una delle più prestigiose università del mondo per dare il proprio contributo a quello che può essere uno dei momenti più importanti della storia recente. Sulle pagine de ilPonte lo avevamo intervistato nella scorsa primavera, quando la cosiddetta “prima ondata” di contagi era nella sua fase finale e quando il vaccino era ancora solo una speranza. Ora, che tanta strada è stata fatta, torna a parlare con noi.
Dottor Gorini, ben ritrovato.
Andiamo subito al dunque: qual è la situazione del vaccino cui state lavorando?
“Arriviamo da una settimana molto felice. Da aprile scorso, quando stavamo per cominciare i test, ad oggi, gruppi di esperti in materia hanno costantemente monitorato l’andamento delle infezioni delle persone che si sottoponevano a vaccino. E, proprio la settimana scorsa, questi esperti ci hanno comunicato che era stata raggiunta la cosiddetta ‘significatività statistica’, cioè è stata osservata una differenza tra infezioni nel gruppo delle persone vaccinate e in quello delle non vaccinate: tra i vaccinati ce n’erano molte meno rispetto all’altro gruppo. Differenza significativa riconducibile, dunque, all’efficacia del vaccino”.
E ora cosa succede?
“Ora procederemo con la domanda formale per l’approvazione da parte delle agenzie competenti, qui nel Regno Unito e negli altri territori”.
Di recente il vostro vaccino è stato al centro dell’attenzione per la notizia secondo la quale l’efficacia del 90% sarebbe stata “trovata” a causa di un errore, un caso fortuito nel dosaggio della somministrazione del vaccino: con due dosi intere, a distanza di un mese, l’efficacia è stata attestata attorno al 70%, mentre con una mezza dose seguita, sempre a distanza di un mese, da una dose intera si ha avuto un’efficacia del 90%. E, per l’appunto, la mezza dose sembrerebbe essere stata utilizzata per caso fortuito. Può chiarirci la questione?
“Per quanto riguarda me, io sono stato impegnato in lavori di laboratorio, quindi il motivo e la dinamica con cui si è arrivati a questo tipo di somministrazione non posso confermarlo, perché sono informazioni che non ho. Posso, però, dire che testare diverse dosi è una cosa abbastanza frequente per quanto riguarda i vaccini, e la mezza dose la conosciamo, è già stata utilizzata in passato. Ho sentito, inoltre, che questo possa essere stato anche dovuto a una iniziale difficoltà di produzione, per cui si era creato un ‘ramo’ della vaccinazione nel quale si è utilizzata la mezza dose perché dai dati preliminari era stato confermato che anche in questo modo si poteva stimolare bene il sistema immunitario. In ogni caso, tutto questo è avvenuto sempre sotto il controllo degli enti regolatori. Ora abbiamo sottoposto tutti i dati a una rivista scientifica e, una volta pubblicati, saranno disponibili a tutti”.
In caso di autorizzazione da parte delle agenzie, il vostro vaccino potrà essere commercializzato e distribuito.
Fondamentale, dunque, pensare alla questione della conservazione.
“Sì, è molto importante, perché la conservazione è uno dei motivi per cui sarebbe un grosso vantaggio avere questo vaccino disponibile. Questo vaccino, infatti, si conserva alla temperatura di 4 gradi, la temperatura del frigorifero di casa, fino a 6 mesi, e questo può agevolare molto la distribuzione.
Inoltre, si tratta di un vaccino molto economico, e questo perché non sarà venduto per profitto”.
Ci spieghi.
“Almeno finché l’Organizzazione Mondiale della Sanità non dichiarerà la fine dello stato d’emergenza pandemica, il vaccino sarà commercializzato a basso prezzo e il ricavato dell’Università di Oxford sarà completamente reinvestito in ricerca biomedica. Parlando del prezzo e guardando al contesto del Regno Unito, oggi per vaccinare una persona, quindi due dosi di vaccino, si stimano sulle 3 sterline (meno di 3 euro e mezzo, ndr).
E per quanto riguarda la distribuzione?
“Un altro vantaggio. Abbiamo già stabilito una rete di produzione molto potente, tra cui c’è il Serum Institute of India, che è un produttore di vaccini colossale: grazie a questo, potremo produrre vaccini ad un tasso di circa 200 milioni di dosi al mese.
Non dobbiamo ragionare solo in base alla nostra situazione, ma pensare anche a Paesi in cui la questione della distribuzione può essere critica. Se si vuole distribuire un vaccino in aree del mondo e in Paesi con minore disponibilità economica o più difficilmente raggiungibili, tutti questi elementi (facile conservazione, prezzo economico e ampio network di produzione) diventano decisivi”.
Distribuzione che, come detto, può avvenire solo dopo l’autorizzazione delle agenzie del farmaco (EMA, per quanto riguarda il territorio europeo).
In merito a questo, non mancano in una fetta consistente dell’opinione pubblica dubbi e incertezze sulla sicurezza di queste approvazioni e, di conseguenza, sulla sicurezza dei vaccini stessi. Cosa può dirci su questo?
“Molto chiaramente: queste agenzie sono enti indipendenti, a noi non devono niente e se succede qualcosa la responsabilità è la loro. Nel momento in cui un’agenzia approva un farmaco, e lo fa solo dopo controlli e protocolli rigidissimi, se ne prende la responsabilità. E di sicuro non avviene con leggerezza.
Dobbiamo sempre ricordare che questi enti sono composti da tante persone, che amano la disciplina e che lavorano per dare il proprio contributo alla salute pubblica. Ci sono scienziati dedicati che sanno benissimo ciò che fanno. Io mi fido assolutamente e anzi, le dirò di più: fosse per me, con il vaccino di Pfizer, che ha già ricevuto l’autorizzazione dell’agenzia britannica, mi vaccinerei oggi stesso”.
Passiamo a una nota di colore: sappiamo che ha avuto modo di incontrare il Primo Ministro del Regno Unito Boris Johnson. Com’è andata?
“Sì, è venuto nel nostro laboratorio lo scorso settembre. È stato molto cordiale e sinceramente, visto quello che gli è successo (la scorsa primavera Johnson era stato ricoverato in ospedale per Covid-19, in condizioni gravi, ndr) mi ha fatto molto piacere trovarlo in forma e in buona salute. Ho potuto scambiare qualche parola con lui direttamente e, saputa la mia provenienza, si è complimentato per il modo con cui l’Italia ha gestito l’arrivo della pandemia. È stato, per me, grande motivo di orgoglio”.
Chiudiamo guardando al domani.
Allo stato attuale, possiamo essere ottimisti verso il futuro?
“A questo punto non vedo perché, una volta che con le vaccinazioni si raggiunga una copertura abbastanza elevata, non si possa tornare alla vita normale. Ovviamente non sarà una cosa immediata, perché come abbiamo visto ci sono tutte le sfide legate a produzione e distribuzione.
Ci tengo, però, a rivolgermi alla mia città. Ricordiamo ai riminesi che il modo più responsabile che abbiamo, quando sarà possibile, per dimostrare quanto ci siamo stufati delle restrizioni è andare a vaccinarci. E lo dico perché, purtroppo, Rimini è una roccaforte da questo punto di vista. Sia chiaro: ci sono categorie che non potranno vaccinarsi, come ad esempio le donne in gravidanza. Se chi potrà farlo non lo farà, da una parte si metteranno a rischio i più fragili e dall’altra la normalità non tornerà.
Io lo farò con estremo piacere, non vedo l’ora”.