L’ottavo lungometraggio di Quentin Tarantino è ancora nel segno del western, ma questa volta siamo nel più puro teatro dell’assurdo, con una locanda che diventa il palcoscenico della vicenda e ospita otto personaggi costretti ad una convivenza forzata per via di una bufera di neve che impedisce il viaggio. Otto differenti personaggi, destinati ad un scontro iperrealistico e grottesco, a tratti giocato su quegli eccessi che piacciono tanto al regista di Pulp Fiction, passando per un flashback necessario per comprendere la storia.
Si parte “fuori”, tra la neve (e il crocefisso di legno che apre l’inquadratura non è lì per caso, dato che, passato quel segno di salvezza, il mondo, almeno quel mondo racchiuso in quei pochi personaggi, di salvezza non ne trova più) e poi si entra “dentro” e lo stile di Tarantino è funzionalissimo sia nella scrittura dei dialoghi, ironici e taglienti, sia nelle scelte registiche, lavorando con maestria tra campi lunghi e inquadrature più strette, primi piani e totali, il tutto esaltato da un glorioso formato come l’Ultra Panavision 70. Da vedere assolutamente in sala, sullo schermo più grande che trovate, The Hateful Eight racconta di un mondo che si è appena lasciato alle spalle la Guerra Civile, ma non ha trovato gli equilibri necessari e tra inganni, bugie e sorprese si dipana la storia che coinvolge un cast di attori superbamente coinvolti, da Kurt Russell a Tim Roth, da Samuel L. Jackson a Jennifer Jason Leigh, con la musica di Ennio Morricone a sottolineare il complesso sistema narrativo che in 167 travolgenti minuti ci trasporta in un west dove la cavalleria non arriverà mai e la neve avvolge le montagne del Wyoming che dominano silenti l’emporio di Minnie, in cui si consuma il tragicomico destino degli “odiosi otto”.
Il Cinecittà di Paolo Pagliarani