“Bello, quando sul mare si scontrano i venti e la cupa vastità delle acque si turba, guardare da terra il naufragio lontano: non ti rallegra lo spettacolo dell’altrui rovina, ma la distanza da una simile sorte”.
Questo atteggiamento, descritto da Lucrezio nel De Rerum Natura, “sembra descrivere l’atteggiamento dell’uomo dinanzi ai drammi che caratterizzano, talvolta, il mondo in cui viviamo. Siamo abituati a ricevere notizie tragiche che coinvolgono la nostra sfera emotiva, ma superato il fastidio iniziale avvertiamo quasi un senso di sollievo nel riconoscere la distanza da tali dinamiche”.
Guarda alla gravità della situazione, Manuel Mussoni, e proprio in virtù di questa consapevolezza, il presidente diocesano di Azione cattolica (appena rieletto) invita ad una lettura non banale dei giorni in cui viviamo.
L’emergenza può diventare opportunità? Di crescita, di cambiamento.
“Provo a riflettere sul ruolo dei credenti, in particolare dei laici, e mi fermo ad osservare la reazione spirituale a certe spiacevoli situazioni. Quasi sempre la condotta descritta da Lucrezio nella citazione iniziale ci porta a trascurare o dimenticare la notizia negativa per concentrarci sulla nostra esistenza. Probabilmente è stato così anche per l’emergenza coronavirus quando abbiamo iniziato a ricevere aggiornamenti preoccupanti dalla Cina. In quei giorni tutti siamo venuti a conoscenza dell’esistenza della realtà di Wuhan e, parafrasando Lucrezio, ci siamo allarmati affinché ci potessimo tenere a distanza da quel «naufragio» limitandoci ad osservarlo da lontano”.
Invece non è stato così. E la barca ha iniziato ad affondare anche in Italia, in Regione, a Rimini, tra le Provincie più colpite dell’Emilia-Romagna.
“Quando ci si trova in mezzo ad una tempesta sorgono profonde domande di senso e si fanno i conti con quell’intreccio tra vita e morte che alimenta la vita interiore di ciascuno giungendo a diverse reazioni.
Il dramma ci ha raggiunto e la nostra spiritualità non poteva limitarsi alla preghiera personale o comunitaria; ci è stato chiesto come reagire all’emergenza.
In tali circostanze cosa illumina la nostra coscienza? Quali riferimenti abbiamo per offrire una testimonianza credibile ed affascinante?”.
Tra le prime limitazioni richieste, c’è stata quella di non celebrare l’Eucaristia. Cosa le ha suscitato qusto provvedimento?
“Mi ha profondamente colpito la reazione piuttosto differente dei cristiani dinanzi all’esigenza di rinunciare all’Eucarestia.
Siamo stati chiamati a diversi sacrifici per far fronte ad una diffusione drammatica del virus e, tra questi, evitare di incontrarsi fisicamente in chiesa è stata una richiesta specifica degli esperti in campo sanitario.
Non mi pare uno scontro tra Istituzioni, ma un’adesione ad un comportamento responsabile che non reclama solo una prudenza verso se stessi e i propri familiari, ma un preservare qualsiasi persona”.
C’è chi ha detto che accettare così passivamente il “no” alle Messe pubbliche, con i fedeli, farebbe passare l’idea che l’Eucaristia domenicale sia superflua, uno spettacolo a cui si può rinunciare.
“Come si esprime l’amore per l’Eucarestia?
Occorre fare attenzione a non assolutizzare un principio, la partecipazione fisica al sacramento, che pare poter allietare la coscienza credente, ma in realtà manca di un aspetto fondamentale che completa e da senso alla partecipazione stessa che è il suo carattere missionario.
Siamo consapevoli del valore immisurabile di questo straordinario sacramento, ma anche della chiamata alla santità che ne scaturisce. L’emergenza Coronavirus può impedirci di recarci in chiesa, ma non potrà mai, nemmeno nelle condizioni più difficili, evitarci di raccontare l’amore di Dio in mezzo alle prove e ai doni che la vita comporta.
Il nostro comportamento in questo tempo durissimo ci mette a nudo circa la nostra testimonianza di buoni cittadini e di credenti. A quale conversione siamo chiamati per annunciare una fede capace di parlare alla vita e di infiammare i cuori?
Quali rigidità non ci permettono di vivere il valore infinito della partecipazione ai sacramenti e alla vita di fede?”.
A quale esperienza di Quaresima siamo chiamati?
“Per tenere acceso un senso di comunità, e magari alimentare la fiammella della fede, si è ravvivata una certa pastorale sui social.
La realtà ci parla e ci scuote. Dobbiamo tentare di leggere ciò che ci sta accadendo. Io ho visto su internet chiese vuote con pochi preti, a volte soli, che celebravano davanti ad una videocamera e questo è certamente un grande servizio per sentirci uniti. Tuttavia ho visto tantissimi sacerdoti, davvero tantissimi, narrare Cristo negli ‘altari’ della nostra esistenza quotidiana.
Intendo quel sacerdozio comune proprio dei battezzati descritto nel Concilio Vaticano II.
La testimonianza della fede che sento propria dei laici credenti è quella di esprimere questo sacerdozio comune attraverso l’atteggiamento della speranza nella vita quotidiana. Non si tratta di un vago ottimismo che gira la testa davanti al dramma, ma intendo la pazienza e la forza di chi accetta di vivere la prova cercando con forza di sostenere i più deboli indicando la direzione.
La fede la si esprime con l’atteggiamento della carità proprio di chi, per donarsi all’altro, rischia qualcosa di personale. Mi viene in mente la testimonianza eroica di tanti medici ed infermieri che stanno facendo il possibile per aiutare tutti a superare il male di questo virus.
L’amore di Dio lo si annuncia con la voglia irrefrenabile di accompagnare e sostenere l’altro. Penso a quei genitori che tentano di rassenerare i figli pur in una situazione economica durissima peggiorata dalle conseguenze di questa emergenza. Mi vengono in mente quei familiari o amici che provano con ogni mezzo a non abbandonare coloro che vivono particolari situazioni di disagio domestico, certamente acuito dagli attuali obblighi di non uscire di casa. Sono affascinato anche da quei docenti che non demordono e vogliono farsi prossimi ai propri studenti, non solo per esigenze didattiche, ma soprattutto per vicinanza umana”.
Lei, presidente diocesano di Ac, come reagisce personalmente a questa situazione?
“Davanti questa provocatoria domanda, la spiritualità di un credente esprime tutta la sua tensione verso l’infinito cogliendo quegli equilibri sociali, politici, economici e religiosi, che oggi necessitano di una grande conversione, e partendo dal primo passo che è sempre l’esercizio onesto e generoso della propria responsabilità.
Nell’attesa di tornare a vivere insieme l’Eucarestia non pensiamo che sarà quella libertà ad allietare il nostro cuore. La nostra vera libertà è già presente ora; è la possibilità di esprimere una testimonianza eucaristica, o comunione spirituale, attraverso il modo di affrontare questo dramma. E in ciò possiamo certificare insieme a San Paolo che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (rc)