In occasione dei cento anni dalla nascita di Alberto viene pubblicato in maniera completa quello che resta della sua corrispondenza: le 120 tra lettere cartoline da lui scritte e le 194 scritte a lui.
Le prime, in realtà, erano già state pubblicate, in parte insieme al Diario in parte insieme ad altri inediti, mentre alcune – delle quali si sono perduti purtroppo gli originali – erano state pubblicate negli anni sulla rivista «Casa Marvelli». Mancava però una pubblicazione che le raccogliesse tutte mantenendo l’ordine cronologico.
Le lettere scritte ad Alberto, invece, a parte quelle speditegli dal fratello Lello durante l’anno di servizio militare, sono completamente inedite.
La prima ragione della pubblicazione è quella di conservare la memoria di tempi e cose ormai lontani, di ricostruire, sia pure per frammenti, una storia in cui Alberto si è calato con passione, per tentare di farne, nonostante tutto, una “storia di salvezza”.
La seconda ragione è quella di contribuire a documentare il percorso umano e spirituale di un giovane che ha sempre pensato che per diventare santi sia sufficiente compiere con serenità il proprio dovere e che a questo principio è rimasto fedele, cercando di rispondere sempre con coerenza e impegno alle “sfide” della storia.
Le lettere si lasciano facilmente dividere in tre gruppi: quelle che riguardano più da vicino l’impegno in Azione cattolica, quelle che testimoniano l’impegno politico particolarmente nell’immediato dopo guerra, negli anni in cui Alberto fu assessore nella Giunta comunale nominata dal Comitato di liberazione nazionale e quelle più “private” di famigliari e amici.
Fanno emergere, nel loro complesso, un ambiente di amicizie che non temono le distanze geografiche, di legami saldi, fatti di affetti sinceri, cementati dalla passione per l’altro, arricchiti dalla disponibilità a sostenersi nelle difficoltà e dal comune impegno nella costruzione di una vita più umana per tutti.
Se si tralasciano le prime ingenue letterine alla befana o ai genitori in occasione del Natale, la corrispondenza che ci è rimasta copre gli anni dal 1937 al 1946, dieci anni cruciali per l’Italia e per Rimini.
La corrispondenza riferita all’impegno in Azione Cattolica
La corrispondenza che si riferisce all’Azione Cattolica è relativamente ricca, grazie in particolare all’abitudine del presidente diocesano della Giac Luigi Zangheri di conservare in ordinati raccoglitori sia la posta in arrivo che le minute di quello che lui spediva. Lo scambio di lettere tra Alberto, Zangheri, il delegato regionale studenti Mario Collina, l’Ufficio centrale di Ac ci rimanda piuttosto chiara l’immagine della Ac degli anni della presidenza di Luigi Gedda: all’interno della scelta di non opporsi direttamente al regime fascista, lo sforzo di impedire la frammentazione e curare i legami tra le varie diocesi e, attraverso gli uffici “tecnici”, di competere con le strutture del regime e di organizzare eventi di massa come le gare di cultura religiosa, i pellegrinaggi, i concorsi, gli esercizi spirituali… Tutto questo nel proposito di creare una contro cultura, che al credere-obbedire-combattere opponesse preghiera-azione-sacrificio, radicando nelle coscienze modelli di uomo e di società alquanto diversi da quelli proposti dal regime: una diversa idea di “giovinezza”, un diverso modo di pensare e vivere i rapporti con gli altri.
Per questo diverso modello Alberto mostra di impegnarsi con passione e serietà, continuando anche dopo l’entrata in guerra dell’Italia, quando si unisce a Luigi Zangheri, per mantenere i legami con i ragazzi di Ac inviati sui vari fronti: «Prova ad informarti, se puoi, che cosa è successo del 6° Bersaglieri III divisione, dove c’era Marchi Aurelio»; «Ti manderò il nuovo indirizzo di Venturini, Guido parte il 5 febbraio»; «Otello è ritornato dalla Russia in Italia per un periodo di convalescenza, credo per leggero congelamento, ma da parecchio mancano notizie di Giorgio Montemaggi, ferito ad una gamba in Tunisia, è a Napoli»; «Speriamo bene per Brandi»; «Preghiamo molto per Cecco, Battarra, Burnazzi, Melucci e molti altri perché il Signore li protegga e li assista sempre»; «Per Rossini non importa ti disturbi, perché il 53° gruppo era molto distante dal 52° per scrupolo gli scriverò io per salutarlo e chiedergli notizie».
E mai la sua attenzione si ferma all’interno delle confortanti mura della parrocchia. Già nel marzo del 1939 avvertendo i venti di guerra se ne era detto molto preoccupato, e ancor più, nel 1941, quando viene mandato al centro di addestramento a Trieste, appare piuttosto polemico verso la vita militare e dubbioso sulla competenza di chi è al comando:
«Qui la vita è sempre la solita, trascorsa tra istruzioni a piedi e qualche volta in autocolonna, in complesso però è un perditempo continuo, in quanto dopo venti giorni avevamo già imparato tutto ciò che è necessario, non per diventar sergenti, ma almeno capitani (a giudicare dal nostro). Vi sono dei momenti in cui non sanno proprio cosa farci fare, e ci trascinano da una camera all’altra senza decidersi a lasciarci almeno studio libero. Quante ore sprecate!»
Impressione ribadita nell’agosto del 1943:
«I recenti bombardamenti di Roma, Milano, Torino, Terni (povere città martoriate, quando finirà il loro martirio) sono tristi e dolorose conseguenze di tanti sbagli e di tanta incoscienza che dal 10/6/1940, per non andare più indietro, sono stati all’ordine del giorno. Ricostruendo la storia militare di questi tre anni di guerra, c’è da rabbrividire, nel pensare in mano di chi erano le sorti dell’Italia».
Ma poiché non serve limitarsi a recriminare su ciò che è stato, Alberto mostra di andare maturando una nuova sensibilità, che si rivolge al futuro del paese e cerca di far chiarezza sui valori che possono essere messi alla base della ricostruzione nazionale:
«Io faccio un po’ d’apostolato individuale e mi preparo, leggendo e studiando, al lavoro che può attenderci dopo. Più si studia, più appare vasto il campo delle cose che non si sanno. Penso alla responsabilità di coloro che hanno ricevuto talenti e non li fanno fruttare.
Bei libri ho letto di don Mazzolari 1° Dietro la Croce; 2° Il Samaritano; 3° Impegno con Cristo; leggili e falli leggere ai nostri».
Tornato a Rimini dopo l’8 settembre, dell’enorme lavoro che lo vede prodigarsi per gli sfollati durante i terribili mesi dei bombardamenti sulla città, a parte il ricordo commosso di quanti avevano ricevuto gli aiuti, non rimane una testimonianza diretta, perché il Diario di Alberto si interrompe per cinque anni, dal gennaio 1942 all’agosto 1946. Rimane solo una lettera del 1944, dal tono volutamente leggero di chi non vuole apparire troppo, che egli invia alla signora Delfina Aldè, per darle conto degli aiuti che l’amica gli aveva procurato:
«Cara Signora Delfina,
Le scrivo in un momento di calma in cielo e in terra, cosa davvero rara da 20 giorni a questa parte: forse non le giungeranno nemmeno queste notizie, ma tentare non nuoce.
Riepilogo quanto le ho già scritto in altre cartoline: ho ricevuto le casse e le ho accreditato lire 10.000 sulla Banca Commerciale, in attesa di un saldo completo; una cassa di vestiti non è invece giunta, e per ricercarla, mi sono recato fino a Reggio Emilia in bicicletta, ma invano; però non sono perse tutte le speranze, che sia giacente in qualche posto. Speriamo. Sono tornato a casa felicemente ed ho ripreso la vita di movimento totalmente ciclistica: corse a S. Marino a trovare i parenti ivi trasferitisi da Cervia, corse a Cervia a procurare il sale, corse quotidiane in campagna ed all’orto per rifornire la casa di verdura, frutta ed altri generi mangerecci ecc. ecc. tutto fra allarmi, bombette e mitragliamenti.
Tra una corsa in bicicletta e l’altra, però, raccomanda con una circolare la necessità del tesseramento e trova il tempo di tenere i contatti con i ragazzi che sono stati costretti ad abbandonare la città».
Sono lettere che raccontano di rapporti non formali, improntati a un affetto rispettoso e sincero. (1-continua)
a cura di Cinzia Montevecchi